Il mondo dello sport piange Pietro Mennea, una delle bandiere più rappresentative dell’atletica azzurra ed esempio di sportività e sacrificio. Si è spento ieri in una clinica romana dopo l’ultima corsa contro un male incurabile. Un mito d’altri tempi, tra gli ultimi testimoni di uno sport pulito che ormai appartiene al passato. Eppure oltre che essere un campione di sport e di vita, Pietro Mennea è stato anche un record man e un avvocato, un politico e un docente. Come diceva lui “la corsa non finisce mai” a iniziare da quando da ragazzino sfidava nei 50 metri le auto per guadagnarsi qualche spicciolo.
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Pietro Mennea entra nella leggenda il 12 settembre 1979 quando stabilisce il record mondiale sui 200 metri piani con 19″ e 72 centesimi alle Universiadi di Città del Messico. Record che resterà imbattuto per 17 anni e che continua ad essere record europeo. In un Italia preoccupata per la scena politica, piegata dall’inflazione e tartassata, colpita dalle stragi che preluderanno ai c.d. Anni di Piombo, un uomo di 27 anni venuto da Barletta sale sul tetto del mondo con la forza delle proprie gambe, spinto dalle braccia e dal sudore della classe operaia che rivede in lui il riscatto di una vita fatta di sacrifici.
Forse l’impresa sportiva italiana più grande di tutti i tempi, capace di farci dimenticare per un attimo l’oro nei 200, l’argento nei 100 e nella staffetta veloce ai Campionati europei di Roma nel 1974 e l’oro alle Olimpiadi di Mosca del 1980. Dopo il ritiro, il grande Pietro si è messo a servizio dello sport conducendo in prima persona la sua battaglia contro il doping e fondando l’Onlus Fondazione Pietro Mennea. Qualche anno fa al Corriere della sera scriveva:
La mia lunga avventura nell’atletica è stata il frutto dell’ allenamento e dell’ applicazione. Non possedevo grandi doti fisiche, eppure sono riuscito a raggiungere i massimi livelli. Rimpianti? Nessuno.
Ciao Pietro, corri da lassù più veloce del vento.
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