In questi giorni si sta correndo il Giro d’Italia e vediamo in strada degli atleti che si sacrificano percorrendo centinaia di chilometri al giorno, che affrontano numerose vette difficili da raggiungere anche in macchina e si dirigono verso la vittoria di tappa. Ma è vero quel che dice Di Luca?
Danilo Di Luca, vincitore di un giro d’Italia, positivo ad alcuni controlli antidoping, rivela che vincere un giro senza doparsi è impossibile. Una dichiarazione shockante che forse sintetizza quel che pensano in molti del ciclismo e dei corridori.
Danilo Di Luca, ex stella azzurra delle due ruote dal 1999 al 2013 ha dalla sua parte un bel gruppo di vittorie di primissimo rispetto: 54 gare vinte, racconta il Corriere dello Sport, tra le quali la Freccia Vallone la Liegi-Bastogne-Liegi e il Giro d’Italia. Poi però, risultato positivo ad un controllo antidoping nel 2013, è stato radiato a vita dall’albo dei ciclisti. Da allora costruisce bici della Kyklos e si rilassa nella sua terra d’origine, l’Abruzzo. È tornato sotto i riflettori per un libro, “Bestie da vittoria” nel quale attacca il mondo del ciclismo, diventato ormai una corsa a chi si dopa di più. Un giornalista chiede a Di Luca:
Tu hai un record poco lodevole, quello di essere il prima ciclista italiano radiato a vita. Non ti sei mai pentito di nulla?
Ecco la sua risposta emblematica che getta ancora un’ombra e non una luce sul mondo del ciclismo contemporaneo.
Questa domanda nasconde una duplice risposta. La prima è no, non mi pento di nulla perché quando sono passato professionista e ho fatto il mestiere che sognavo mi sono assunto le responsabilità di ciò che facevo, ho deciso volontariamente di far parte del sistema. Se poi mi chiedi se oggi a 40 anni e con molta più esperienza sulle spalle io possa ancora decidere di far parte del sistema, beh, forse adesso ci ripenserei.